F come Famiglie

03/2018

Oggi si crede al livellamento culturale, alla Globalizzazione dell’inglese parlato e scritto. Si pensa che buone Scuole e buona Università possano ripulire il singolo dagli influssi di un nonno operaio e di una buona bis-nonna, che non sapeva di che sfamare i numerosi figli, ma non è così, secondo me!
Se la qualifica di Borghese, con la B maiuscola, si può riferire solo a coloro che potrebbero vivere di rendita e alla grande, senza dover cambiare di un filo il loro comportamento di consumo (questo me l’ha insegnato Hans Castorp del romanzo di T. Mann) dunque è ormai limitata a pochi casi, esiste una borghesia piccola di gente che in due o tre generazioni con il lavoro indefesso si è fatta da sola; nonni che hanno accumulato e non sperperato, padri conseguenti e adagiati ed ecco uno stuolo di piccoli borghesi che lavorano e continuano ad accumulare come i loro nonni e padri, certo differenti dai grandi Borghesi, ma soprattutto differenti dai frutti della Cultura operaia o ex-proletaria.

C’è una dialettica che lega i piccolo borghesi e gli ex-proletari. Non è solo una questione economica o sociale, ma anche culturale. È pur vero che ci manifestiamo con un’indole personale, che sta al di sopra delle Classi sociali, ma l’essere socializzato in una particolare sfera d’interessi, rispetto ad un’altra, o per meglio dire in modo marxista, a quella opposta, fa la sua differenza nel modo con cui il singolo vivrà. Emerge negli individui socializzati nelle famiglie piccolo borghese una certa qual auto-sufficienza emotiva, che può sfociare nel disinteresse e nell’isolamento familiare, esprimibile con: “fin qui sono arrivato e da qui partirò”, differente da un senso di precarietà, da una necessità continua di riconoscimento, che costringe l’individuo, socializzato nella famiglia operaia, a sperimentare vincoli sociali, culturali e normativi molto cogenti e prodromici a comportamenti gregari.
Quindi, ben oltre alle caratteristiche di personalità degli individui, osserviamo le caratteristiche sociali ed economiche in grado di determinare o produrre culture differenti. Così ci dice la riflessione dei Berger (Berger e Berger 1978) che li porta alla strutturazione in modo paradigmatico di due Tipi di famiglia, confrontando le ricerche sulla vita sociale nordamericana: quella di Herbert Gans (1962), che indagava la popolazione operaia bianca del West End di Boston nei primi anni 60, e quella di John Seeley et al. (1956), svolta a Toronto su una comunità suburbana della media borghesia. Da questa revisione, i Berger definiscono due modelli fondamentali di famiglia: Adulto-centrica e Infanto-centrica. La famiglia tipica della classe operaia è una famiglia Adulto-centrica, quella della medio borghesia è Infanto-centrica. In questi modelli pragmatici di famiglia, la differenza sta fondamentalmente nel diverso concetto che gli adulti hanno dei loro diritti e di quelli dei bambini.
Nella tipologia di famiglia operaia lo sviluppo da neonato ad adulto avviene senza un’eccessiva partecipazione dei genitori al processo. La bambina, ad esempio, deve aiutare la madre ad allevare i bambini più piccoli e abbastanza presto diviene una specie di piccola mamma e donna di casa. Il ragazzo d’altra parte gode prestissimo della stessa libertà, che ha il padre, di andare e venire quando più gli aggrada da casa. Già nella fanciullezza ci si aspetta da lui che egli viva con sempre maggior indipendenza e autonomia, senza la necessità del controllo dei suoi genitori. Così i bambini si creano abbastanza presto un mondo separato da quello dei genitori e in cui questi ultimi hanno ben poca importanza. Come sostiene Gans (1962, 57), in questo tipo di famiglia: “I rapporti genitore-figlio sono isolati quasi quanto quelli tra i maschi e le femmine”. Il bambino racconterà a casa le sue attività col gruppo dei coetanei, ma in una famiglia adulto-centrica esse non saranno di grande interesse per i suoi genitori. Se il bambino va bene a scuola (e sottolineo se…) i suoi genitori gli faranno degli elogi, ma questo può essere per loro anche una nuova preoccupazione … È abbastanza logico, osserva Gans, che in tale situazione i bambini si comportino in casa molto diversamente da quanto capita loro in strada. Il bambino, che spesso è pieno di energie e magari turbolento in strada, è invece piuttosto passivo, persino cupo, a casa. Evidentemente il luogo, in cui questo tipo di bambino s’esprime, è la strada, non la famiglia.

Nelle famiglie della medio borghesia la fanciullezza è completamente diversa. I bambini sono i padroni della casa. Li si incoraggia a esprimersi il più possibile nell’ambito familiare e gli adulti fanno tutto per prestare una seria e continua attenzione a quanto fanno i bambini. Si fanno grandi sforzi per divertirli e educarli: è normale invitarli a condurre a casa gli amici. Le madri organizzano per loro piccole feste o li portano fuori in occasioni di speciali ricorrenze della comunità. A differenza dei bambini della classe operaia quelli della classe media non devono fare alcun lavoro in casa. Qui, quando si chiede a un bambino di svolgere questa o quella mansione domestica, i genitori trovano assolutamente normale il pagare ai loro figli un particolare compenso per questo lavoro.

Nella famiglia della classe operaia la moglie deve addossarsi la responsabilità della casa e dei bambini e controllare le loro attività. Il marito dovrebbe essere colui che guadagna il pane, ma sicuramente non ci si aspetta che egli partecipi in alcun modo all’andamento della casa o alla quotidiana cura dei figli. Molto spesso la madre risolve da sola i problemi disciplinari, benché in certi casi particolarmente gravi il padre sia invitato a intervenire quando ritorna a casa dal lavoro.
Al contrario, la famiglia della classe media è un luogo d’intenso scambio tra tutti i suoi membri ed è di fatto per questi un rifugio dal resto del mondo. La famiglia è il luogo in cui il padre dovrebbe riposarsi, in compagnia della moglie e dei figli, dopo una giornata di lavoro, un posto dove i bambini sono incoraggiati a discutere dei loro problemi e dove ognuno partecipa il più possibile alle attività di gruppo. Se è vero che anche qui, come nella famiglia operaia, la madre svolge la mole maggiore di lavoro domestico, si considera normale il fatto che il marito, compatibilmente con le sue capacità, le dia una piccola mano. Ma al contempo, nelle famiglie della classe media si auspica che la moglie si realizzi anche come donna e che anche il marito guardi alla propria famiglia dal punto di vista dell’autorealizzazione.
La situazione è molto diversa in una famiglia operaia, dove ci si aspetta che il marito si realizzi come uomo e soprattutto fuori dalla cerchi domestica.
Se la famiglia della classe media accentua i valori comuni e le attività di tutti i suoi membri, al tempo stesso attribuisce grande importanza ai diritti e alle aspirazioni individuali. Tanto il padre che la madre hanno i loro giri di amicizie personali, alcuni dei quali sono estranei al partner. I bambini hanno, appena possibile, le loro stanze personali, che sono considerate un loro regno, da amministrare a loro piacimento. Decorare o tenere in ordine queste stanze è un loro diritto, ma anche una loro responsabilità. Sono incoraggiate e rispettate le eccentricità e le ambizioni personali, a meno che non siano troppo palesemente devianti dalle norme generali dell’ambiente immediato di riferimento. Ai bambini, già da piccoli, è affidata una piccola somma di denaro in modo che imparino ad amministrare il denaro con responsabilità. L’indipendenza è dunque incoraggiata in tutto.

La differenza tra questi due tipi di famiglie appare molto evidente in materia di autorità e di disciplina. I metodi disciplinari della famiglia operaia tipica sono rappresentati essenzialmente dall’alternanza di premi e punizioni. Si presuppone lì che i bambini abbiano bisogno di continui interventi disciplinari, se non si vuole che crescano come dei piccoli selvaggi. Le punizioni sono sia fisiche, sia verbali. Soprattutto le madri picchiano i bambini, dicono loro che cosa fare e cosa non fare e non mancano di porli di fronte alla minaccia decisiva, quella di dire tutto al padre quando tornerà a casa.
Tutto ciò non interferisce con l’affetto che esiste tra genitori e figli. Punirli non significa respingerli. Allo stesso tempo in queste famiglie non si teorizza molto sul modo in cui si dovrebbero educare i bambini e con quali finalità. I metodi educativi, sia per quanto riguarda la disciplina, sia per altri argomenti, sono stati, se lo sono, elaborati dagli stessi genitori spontaneamente.
La situazione è molto diversa nella classe-media, dove vi è un forte pregiudizio verso metodi punitivi o autoritari nei rapporti con i bambini: la famiglia deve essere democratica. Ne consegue che c’è una notevole incertezza sul modo di trattare i bambini. Le madri temono di essere troppo dominanti o di essere troppo indulgenti. Non solo vi è incertezza, ma addirittura si verificano litigi tra i genitori a causa di questioni del genere. Tutti sono d’accordo che i bambini abbiano bisogno di un modello educativo coerente, ma nessuno in realtà sa quale debba essere. Non meraviglia quindi che i genitori di queste famiglie della classe media si rivolgano spesso a degli esperti per farsi consigliare. Questi possono essere psichiatri, psicologi, studiosi o consulenti nel campo dell’educazione e via di questo passo; spesso si utilizzano libri o ci si avvale di altri mezzi di comunicazione per raccogliere informazioni.

Secondo i Berger, in questo tipo di famiglia della classe media, i genitori evitano scontri diretti con i figli in cui divenga necessario assumere delle posizioni di autorità. L’ideale di fondo è che i genitori debbano essere gli amici dei figli. Non è difficile osservare che, quando i genitori vogliono stabilire la loro autorità di adulti, i loro sforzi non risultano molto credibili ai figli. Ci sono sempre le punizioni fisiche, ma i genitori se ne fanno una colpa. Di solito, si tratta di pressioni psicologiche, più sottili; in altri termini il bambino non è costretto, ma è spinto a collaborare. Proprio perché gli strumenti disciplinari sono psicologici in questo tipo di famiglia la percezione da parte del bambino di essere rifiutato è maggiore. Vale a dire che il ragazzo di questa classe ha più ragioni di temere che i genitori minaccino di non amarlo più, più di quante ne abbia il bambino della classe operaia che i genitori lo maltrattino fisicamente.

Varie le riflessioni che si possono trarre. Si constata innanzitutto che, benché riferiti alla realtà statunitense, questi modelli di famiglia sono individuabili nella società italiana, anche se con decenni in ritardo. Pur restando a un alto livello di generalizzazione, si può analizzare ulteriormente la struttura della famiglia Adulto-centrica (di matrice operaria, ma in Italia anche tipica del mondo agricolo) e Infanto-centrica (di matrice piccolo borghese) e osservarne le forme di evoluzione o di attualizzazione oggi.

Innanzitutto occorre sottolineare una vera novità: quella segregazione fra ruoli (cose da uomini e cose da donne) delle famiglia operaria e la centralità casalinga della moglie/ madre nelle famiglia piccolo borghesi, sono state sostituite, nella realtà italiana di questi anni, da una donna che, come una candela che brucia da due lati, si trova a occupare un ruolo sociale produttivo e un ruolo privato riproduttivo. E dall’uno all’altro ruolo balza con una capacità e competenza, evidentemente maturata negli anni, ma in modo altrettanto vero, con una fatica fisica e psicologica non indifferente.

La motivazione che spinge le donne italiane in questa direzione è una, anche se si declina in tre forme, che illustrerò. Credo che si tratti fondamentalmente di una certa qual fretta di recuperare il tempo perduto. La compressione forzata nel ruolo riproduttivo, in cui il Fascismo l’ha costretta (e anche un certo qual Clericalismo) e il conseguente ritardo di sviluppo dei diritti di cittadinanza (che negli altri paesi dell’Europa hanno già realizzato) hanno costretto la donna, nel suo ruolo di perno del Sistema famiglia, a vicariare l’assenza o la presenza micragnosa di uno Stato, che ancor oggi sembra concedere servizi e non erogare benessere.
A seconda delle situazione culturale, sociale ed economica di ciascuna donna, tale spinta alla rivalsa, prende direzioni diverse:

  1. operare attivamente a sviluppare i diritti in senso lato delle donne;
  2. affermarsi, con modalità mimiche alle forme espressive dell’uomo, piuttosto che alternative, per ottenere un’autorealizzazione individuale, nel senso spesso semplicistico di un’auto-sufficienza economica, che collima col terzo punto,
  3. contribuire (necessità sempre più impellente) dal punto di vista economico, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, al reddito della famiglia: se nelle famiglie non entrano almeno due redditi, pur nei diversi stili di vita conseguenti a tali redditi, non si può vivere in modo paragonabile agli standard auspicati e culturalmente imposti a tali stili.
Queste tre dimensioni sono caoticamente relazionate fra loro, così che ogni predittività è disconnessa a due livelli:
  • dalla sensibilità diversa della singola donna alla specifica tematica, al presentarsi della suddetta problematica nel proprio vissuto esistenziale, in quanto vi è chi percepisce come maggiormente frustrante la mancanza d’uguaglianza politica, l’assenza d’auto-realizzazione sociale o la penuria a livello di risorse economiche;
  • dal fatto che l’espandersi in positivo o in negativo di una delle tre suddette dimensioni ha incidenze immediate sulle altre due e sullo sviluppo futuro di ciascuna di esse: se si lavora per ottenere l’una, le altre si contraggono.
Ciò però non modifica strutturalmente, ma complessifica solamente le relazioni nelle famiglie Adulto-centriche di cultura operaia e in quelle Infanto-centriche piccolo borghesi.

Se ci concentriamo sulle modalità di relazione fra i componenti della famiglia Adulto centrica, oggi in Italia, possiamo dire che esse si manifestano in modo adeguato: sia i genitori, sia i figli svolgono il proprio ruolo in modo reciprocamente complementare. Nessuno discute i ruoli: il maschio anziano è marito e padre, la donna è moglie e madre, il figlio/a/i si adattano al loro ruolo di figli o di fratelli. I giovani fanno i giovani, gli adulti accettano il loro comportamento come quello proprio dei giovani. Tutti i ruoli sono riconosciuti, al massimo si contesta se incarnati nell’eccesso. Queste famiglie sanno che i figli sono impegnati in attività spesso discutibili e rischiose, ma ciò avviene lontano dagli occhi (in luoghi preposti), anche se forse non lontano dal cuore.
La moglie/ madre sembra essere ancora il perno del Sistema famiglia, con in più sempre spesso incombenze di natura economica, anche a fronte di una crisi economica che negli ultimi ha inciso sui redditi e sul ruolo di tanti dei mariti/ padri.
Mondo della famiglia e mondo di vita sono separati e i giovani (nel passato solo i maschi, ma adesso anche le femmine) sembrano ricercare un loro spazio espressivo nell’esterno, ma sempre con una modalità gregaria. Nel Tempo libero ci si trova nel posto e nel modo dove si trovano tutti gli altri: tipiche in questo senso erano le mega discoteche. L’evoluzione di questo ritrovarsi all’esterno della casa nei gruppi di pari sembra accentuato:

  • dalla maggiore disponibilità economica e quindi presenta oggi forme spiccatamente consumistiche, rispetto al modello originale operaio,
  • e dell’avvicinamento fra ruolo dell’uomo e ruolo della donna. Maschi e femmine hanno imparato a fare le medesime cose e ad avere i medesimi interessi.
La famiglia Adulto-centrica tradizionale è adeguata, se ci si sofferma sulla certezza e alla coerenza di ruoli, ma non immediatamente alla qualità/ quantità di cure fornite alle nuove generazioni. E in questo senso, la famiglia Adulto-centrica contemporanea italiana, può presentarsi, usando le categorie di Parker (1983) in due forme opposte:
  • in alcuni casi, con modalità iper-protettive, nel momento in cui fornisce ai figli una quota di cure eccessive;
  • e dall’altro, con un’assenza o mancanza di cure adeguate.
Ovviamente sono due posizioni limite e ben si presentano mille e più concrete forme intermedie.
Quindi da un lato si individuano famiglie afferenti al modello Adulto-centrico, che pur in presenza di certezza dei ruoli, fanno sperimentare ai figli una condizione di normale mancanza di cure. In questo caso, come già emergeva dalla ricerca di Gans, la differenza (e anche la diffidenza) fra generazioni sembra dettata più che dal disinteresse reciproco, dalla mancanza di comprensione delle modalità espressive delle differenti generazioni e spesso dei generi. Ognun per sé! A questa percezione di distanza, ma anche alla mancanza di volontà/ possibilità di ristabilire reciproca comprensione, il giovane sembra rispondere, come si è detto, con la ricerca di una concezione della vita gregaria e consumistica, incarnando però modelli di comportamento ideali (anche perché quelli reali non sono percorribili) opposti a quelli dei genitori: consumi vs. produzione; impegno vs. disimpegno ect. Questi giovani oggi attuano un percorso mimico, non del comportamento concreto dei loro genitori, ma dei gruppi di successo appartenenti a ceti/ stili di vita differenti e più alti: assumendo in sé un modello acquisitivo, ma di elementi superficiali e di consumo, anche a livello relazionale/ sessuale.
Dall’altro lato, troviamo famiglie Adulto-centriche in cui si assiste a una trasmissione, forse eccessiva, di cura alla progenie. Qui la differenza non è nella forma delle relazioni, che restano pressoché identiche, ma nella forza con cui i genitori, in modo classico, impongono le loro scelte ai giovani e essi le accettano. I giovani qui ripropongono un’identità tendenzialmente inibita, ma fanno propria una visione acquisitiva di forme e valori stabili di produzione. Queste famiglie sembrano proporre ai figli il motto: “Con l’impegno e la dedizione potrai ottenere una buona vita!” A fidarsi! In questi casi, il modello Adulto-centrico, pur mantenendo la sua stabilità, sembra assumere in sé elementi acquisitivi, caratteristici della piccola-borghesia.
In Italia, per concludere, ancor oggi il modello più diffuso di famiglia presenta caratteristiche Adulto-centriche, ma con interessanti deviazioni, accentuando le differenti espressività generazionali in un caso, assumendo modelli acquisitivi piccolo-borghesi nell’altro. Madre e padre in quest’ordine continuano a occuparsi della funzione educativa, ma, in modo coerente la madre si occupa delle relazioni interne, il padre di quelle esterne.

È la tipologia di famiglia Infanto-centrica che nell’Italia contemporanea si modifica in modo più netto. Tutta quella dimensione riflessiva, di sviluppo della personalità individuale, di dubbi educativi, che la caratterizzava nel modello statunitense, sembra manifestarsi oggi in due modalità antitetiche:

  • un primo modello, in cui la famiglia sembra disporsi al servizio dei figli; il modello Infanto-centrico sembra dilatato in una totale dipendenza emotiva dal comportamento dei figli/e. Le pressioni psicologiche, i ricatti emotivi, hanno cambiato verso: dai figli ai genitori e, spesso l’esaudimento consumistico delle richieste, che le nuove generazioni propongono, vista la maggiore disponibilità economica di queste di famiglie, diventa il metro di misura del successo sociale della famiglia.
  • nell’altro modello contemporaneo italiano di famiglia Infanto-centrica, tutti i componenti, per ragioni diverse, anche contingenti (lutti, separazioni, scelte di carriera lavorativa impegnative da parte dei genitori, assenze prolungate degli stessi) si trovano, non solo a discutere il modo con cui incarnano la parte, ma anche la parte stessa (marito/ moglie/ padre/ madre/ figli / genitori) e se essa abbia senso. Tutto (ruoli, affetti e relazioni) è in questa tipo di famiglia sempre negoziato e mai definito. A tutto ciò possono sommarsi:
  • divergenze fra atteggiamenti del padre e della madre o fra i fratelli, caratteriali, ma soprattutto connesse alla concezione della vita e non ultimo all’immagine di famiglia che i due genitori hanno sperimentato nella loro infanzia;
  • presenza/ assenza o integrazione complesse con altre figure parentali o familiari o relazionali, com’è nelle cosiddette famiglie estese;
  • differenze fra ruoli tradizionali e genere sessuale (due padri, due madri; due madri e un padre naturale espulso etc).
  • In questo tipo di famiglie i giovani hanno modo di portare le loro manifestazioni, anche negative, all’interno della casa, che per mille ragioni, è un luogo più accogliente per loro, che non per i loro genitori. La struttura Infanto-centrica li rende i veri protagonisti del loro futuro, anche se strettamente limitato dalle pareti domestiche.
L’aumento complessivo dei livelli di consumo, soprattutto di tecnologie per la comunicazione e per la cura del vestire e del corpo, è una caratteristica comune a tutte queste nuove famiglie italiane, ma non è paragonabile il livello di spesa che si realizza, per esaudire i desideri delle nuove famiglie Infanto-centriche al servizio dei figli, con quello delle altre famiglie.
Vale anche sottolineare, per concludere, come più in generale, lo sviluppo del ruolo politico, culturale ed economico delle donne pare rafforzare un sorta di alleanza fra la madre e i figli e all’opposto attivare forme rivendicative con il marito/ padre, accusato di chissà quali imposizioni: tipica la definizione paradossale di Padre padrone, quando spesso questi uomini non si sentono neppure padroni di se stessi.
In qualche modo lo sviluppo sociale del ruolo della donna fa stridere potentemente fra loro la funzione di cura, rivolta alle nuove generazioni e agli anziani (finora e in tutti i modelli sempre appannaggio del genere femminile), e la funzione produttiva e quella di sviluppo personale.
Ciò forse dipende dal fatto che lo sviluppo dei diritti individuali della donna si scontra anche con l’arretratezza del sistema educativo e scolastico istituzionale e con quello del Welfare, tanto che la spinta femminile alla modernizzazione e allo sviluppo del sé, è frenata dalla necessità di vicariare con forme di cura e di assistenza tradizionali tali carenze.